E questo è il fiore del Partigiano

Lascia un commento

aprile 24, 2020 di meditazionimetafisiche

In occasione del 25 aprile, ripropongo qui sul mio blog, un mio articolo pubblicato sul Quotidiano del Sud, lo scorso 2 novembre, per ricordare mio nonno, Francesco Vallelonga, partigiano, scomparso il 17 settembre 2019 a Nardodipace, in provincia di Vibo Valentia

«Cessa il vento, calma la bufera, torna a casa il fiero partigian»: sono stati scelti questi due versi dell’ultima strofa di “Fischia il vento” come epitaffio per la lapide di nonno Ciccio – Francesco Vallelonga – tra gli ultimi partigiani calabresi, scomparso lo scorso 17 settembre nella sua casa di Nardodipace, in provincia di Vibo Valentia.

Era nato il 12 ottobre del 1922, Francesco, pochi giorni dopo ci sarebbe stata la marcia su Roma: il fascio e le fasce. Era cresciuto in un borgo di campagna. Pochi anni di scuola elementare, un fratello e due sorelle e le giornate passate ad accudire gli animali domestici, a lavorare nei campi o a prendere parte a esercitazioni e piccole parate col vestito da Balilla.

Non aveva ancora compiuto 18 anni, quando quella sera del 10 giugno 1940 aveva ascoltato da una radio a valvole, poggiata sul balcone di casa del segretario del fascio locale, il discorso grondante di retorica del Duce che annunciava l’ingresso in guerra dell’Italia.

Ha sempre raccontato nonno Francesco che Mussolini avesse annunciato tronfio “abbiamo l’esercito più potente del mondo”. In realtà, leggendo il testo di quel discorso, questa frase non compare, forse era la sintesi che ne aveva tratto, forse a pronunciarla era stato il podestà, o il segretario del fascio… non importa; quello che importa è che Francesco era solito aggiungere sempre: “arrivati in Russia non avevamo nemmeno i cappotti per coprirci e portavamo ai piedi scarponi che sembravano fatti di cartone”.

Già, la Russia. Francesco ci arriva nel 42 dopo un avventuroso viaggio su una sorta di treno-merci lungo binari saltati, misteriose soste in mezzo al nulla, paure e amicizie nate tra i vagoni. 

C’era la neve a Nardodipace il giorno in cui Francesco partì coscritto. Era il 15 gennaio del ’42. Un’alba che sapeva di latte di capra caldo, di odori familiari di stalle e di legna bruciata, di vento che sibila tra i vicoli: “Eravamo in dodici, non sapevamo né capivamo esattamente dove andare, cosa fare. Era la prima volta che lasciavamo il paese. Nella caserma di Baggio, a Milano, un ufficiale ci fece vedere una bussola e ci mostrarono come sparare. Fu tutto lì l’addestramento che ricevemmo”.

WhatsApp Image 2019-10-01 at 20.46.26

La consegna della Croce al merito di guerra

In Russia Francesco combatte nell’ottava armata. Di quei giorni aveva conservato il ricordo vivido della fame, del freddo intenso e della costante paura.

Il 19 dicembre del ’42 comincia la disastrosa ritirata italiana che avviene nella più totale disorganizzazione e con un tributo di vittime altissimo. Francesco realizza sulla propria pelle quanto fossero vacui i vaneggiamenti di potenti eserciti italiani e di vittorie a portata di mano… durante la corsa a perdifiato lungo le distese coperte di neve della Russia, un suo commilitone calabrese che si era ammalato non riesce più ad andare avanti e si accascia sulla neve. Francesco lo incoraggia a continuare. Devono correre. Ma Fortunato – era questo il suo nome – è esausto. Non ce la fa più. “Lasciami morire qui”, continua a ripetergli. Non c’è tempo per decidere il da farsi. Francesco se lo carica in spalla e continua a correre finché non vede un camion tedesco, e lo issa sul cassone. Non si rivedranno più, ma dopo la guerra Francesco incontra i familiari che lo abbracciano grati per quanto aveva fatto per il loro congiunto. Fortunato era tornato a casa vivo e salvo ed era emigrato in America, dopo la guerra. Avrebbe potuto essere uno dei tanti caduti o dei tanti dispersi in Russia… era stato fortunato davvero.

Rientrato in Italia Francesco non sa che fare, la situazione è molto confusa, il suo battaglione disperso. Arriva nell’astigiano dove viene ospitato e nascosto da una anziana signora che vedeva in Francesco il sembiante del proprio figlio partito soldato e mai più tornato a casa.

C’è intanto l’8 settembre, l’Italia è spaccata in due. Francesco viene informato del rischio che corre qualora venisse sorpreso e arrestato. In più non può sempre contare sulla benevolenza della sua benefattrice. Deve pur procurarsi da mangiare in qualche modo. Entra in possesso di falsi documenti e fingendosi più giovane si presenta al comando italiano per essere arruolato come volontario. 

Così, dopo un periodo trascorso nella ricostruzione di ponti danneggiati dai bombardamenti aerei viene mandato ad Acqui Terme come aiuto cuoco in una grossa caserma della RSI. È ad Acqui che entra in contatto con un gruppo di partigiani cui stringe subito un intenso rapporto d’amicizia. Si sente tradito dal fascismo, ha vissuto sulla propria pelle il prezzo della megalomania e il retrogusto amaro della retorica. D’altro canto sente a pelle un’affinità mai provata prima con quei ragazzi, ne condivide i sogni e gli ideali e loro capiscono che possono fidarsi di lui che da quel momento assumerà un ruolo significativo nella storica liberazione di Acqui. Il suo nome di battaglia sarà Fanfulla.
A Francesco-Fanfulla viene chiesto di continuare a lavorare in caserma e da lì fornire di nascosto armi e informazioni preziose ai partigiani.

«Quando i superiori mi chiedevano la sera di preparare il vin brulè – racconta – sapevo che la notte sarebbero partiti per qualche retata contro i miei compagni partigiani. Allora riuscivo a informarli dando loro al contempo altre notizie preziose che riuscivo ad origliare in caserma. Avevo paura? Certo. Ma sapevo di avere poco da perdere e in palio c’era la libertà mia e di altri».

IMG_0086.JPG

Nonno Francesco Vallelonga alias Fanfulla, insieme a nonna Maria Stella Franzè

Francesco riuscì a non farsi sorprendere in quel ruolo di “partigiano in pectore” sino al 25 aprile, quando Acqui venne liberata grazie a un accordo tra il CLN e i nazifascisti per una ritirata incruenta di questi ultimi. Appena cominciarono le operazioni di liberazione della città, Francesco gettò via la maschera e corse a raggiungere i compagni partigiani insieme ai quali potè celebrare la liberazione della Patria.

Conclusi quei giorni gloriosi ritornò al suo paese, in Calabria, a Nardodipace, dove, salvo alcuni periodi di emigrazione, visse fino alla morte.

Ma non dimenticò mai quei giorni di terrore, coraggio e speranza. A tutti raccontava quei terribili momento, spiegando, specie a chi in sua presenza ne invocava il ritorno, qual era il vero volto del fascismo. 

Un giorno, quando era oramai ottantenne, un ragazzino per stuzzicarlo disse: «Ci vorrebbe Mussolini!». Nonno Francesco si alzò, rosso in viso e, facendo notare all’imprudente ragazzino di doversi ritenere fortunato per via della differenza d’età che gli avrebbe impedito di “educarlo” ai valori civili con metodi non proprio montessoriani, esclamò: «Io so chi era e cos’è stato Mussolini. Tu no!».

A te, nonno Francesco, questo piccolo monumento di carta e di parole, per onorare la tua memoria, perché non resti offesa dall’oblio crudele che tutto cancella senza riguardo.

In basso il video registrato durante il funerale del partigiano Fanfulla, quando, di fronte al cimitero, la salma è stata accompagnata con le note di “Bella Ciao”

Lascia un commento

Blog Stats

  • 6.866 hits