Il tacheografo, il nonno della tastiera

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agosto 6, 2023 di meditazionimetafisiche

Duecento anni fa l’invenzione geniale di Conti che ha cambiato la scrittura

Altro che California, tutto inizia a Cilavegna, tra le nebbie della Pianura Padana

Questo articolo è stato pubblicato su «Mimì» l’inserto culturale del «Quotidiano del Sud / L’altra voce dell’Italia» del 6 agosto 2023

Ha 200 anni ma nasconde un’insospettata vitalità. È lo strumento di input più utilizzato per scrivere, secondo (forse) soltanto alla penna. C’è anche chi ha provato a mandarla in soffitta ritenendola superata dai moderni sistemi di riconoscimento calligrafici, ma inutilmente. Il ticchettio e il frullio delle mani che si muovono veloci sui tasti, e la magia di avere davanti un testo pulito e ordinato, hanno tenuto duro e così persino i “paper-tablet” – i tablet che simulano carta e penna e che avrebbero dovuto rappresentare un ritorno al piacere di scrivere a mano, sebbene su taccuini digitali – hanno ceduto e alla fine si sono dotati anch’essi di tastiere fisiche. Già perché è proprio di quella manciata di lettere e numeri, ordinati secondo un criterio che appare a prima vista misterioso, che ci vogliamo occupare.

Secondo qualcuno c’è in atto un vero e proprio cambiamento antropologico e l’uomo contemporaneo, l’homo informaticus, ha cambiato il suo modo di scrivere, ritenendo più naturale pigiare sui tasti che tracciare arzigogolate lettere d’inchiostro. Come ogni cambiamento c’è anche chi vi resiste provando a vantare le virtù dell’arte calligrafica ma come ogni battaglia di retroguardia, anche questa appare una battaglia persa in partenza.

La prima tastiera usata per riprodurre lettere e caratteri non nacque in un’assolata valley californiana ma tra le brume della Pianura Padana. A idearla, nel 1823, l’ingegnere e inventore Pietro Conti da Cilavegna, piccolo borgo rurale della Lomellina. Conti era uno spirito inquieto, assetato di fama e avventura. Pare trascorresse gran parte del suo tempo a viaggiare e a immaginare soluzioni che potessero cambiare la vita delle persone. Durante uno dei suoi viaggi, cominciò a porsi il problema del riuscire a prendere appunti trascrivendo, nel modo più celere possibile, il parlato di un oratore. Ebbe così l’intuizione del tacheografo (dal greco “scrivere celermente”). Pietro non era molto apprezzato dai suoi concittadini che, dediti soprattutto al lavoro dei campi, guardavano con sospetto quel giovane stravagante. Il pregiudizio negativo era ovviamente condiviso anche dai genitori della ragazza che amava. Ai due non rimaneva dunque altra scelta, per vivere il loro amore, che quella di fuggire lontano dal borgo padano. Durante il loro esilio d’amore, nel 1827,  a Parigi, Conti  poté presentare la sua invenzione alla Société d’encouragement pour l’industrie nationale i cui membri decisero di incoraggiare il giovane inventore assegnandogli una sovvenzione per la costruzione della sua macchina.

Il cembalo scrivano

Qualsiasi innovazione però, per prendere piede, ha bisogno di essere sostenuta da un’adeguata spinta sociale e, in quegli anni, in cui l’Italia ardeva per i moti risorgimentali, evidentemente non si avvertiva la necessità di una macchina simile. Conti si trovò pertanto costretto ad accantonare la sua invenzione.

Il fuoco delle idee però non si spegne facilmente e, anche quando viene sopito, continua ad ardere sotto cenere fino a divampare di nuovo. Fu così che l’idea di una “macchina per scrivere” mediante l’utilizzo di tasti venne adottata da un altro inventore, di professione avvocato, Giuseppe Ravizza, proveniente da una “città d’acqua” poco distante da Cilavegna: Novara. Pare che a Ravizza non interessasse unicamente la velocità della scrittura ma che fosse animato anche da nobili intenti come quello di offrire ai ciechi uno strumento di scrittura. Tra i due ci furono diversi incontri e scambi di vedute che portarono, nel 1856, alla nascita del “Cembalo scrivano”, una macchina per scrivere dotata di una tastiera simile a quella di un pianoforte, con i tasti bianchi e neri. La curiosa conformazione della tastiera del “cembalo” di Ravizza non deve destare stupore. Il cembalo scrivano nasce in un ambiente della piccola nobiltà e della ricca borghesia dove la conoscenza della musica e del pianoforte erano assai diffuse e suonare senza guardare i tasti era un’abilità comune: si trattava solo di trasferire quella pratica dal suono alla scrittura.

Il medesimo intento – quello di offrire uno strumento di scrittura ai non vedenti – animò un’altra coppia di inventori toscani che, a quanto pare, agì in maniera del tutto indipendente dal duo Conti-Ravizza. Si tratta del Conte Agostino Fantoni di Fivizzano e del militare-inventore Pellegrino Turri. Pare che la contessa Anna Carolina, sorella di Agostino, fosse affetta da una malattia oculare che l’avrebbe presto condotta alla cecità. Il premuroso fratello si ingegnò allora nell’ideazione di una macchina che avrebbe consentito alla sorella di scrivere pigiando dei tasti ed evitando così lo sforzo (impossibile per un non vedente) di tracciare i segni con la penna. Turri, brigadiere delle Guardie Nobili del Duca di Modena, aveva conosciuto i due proprio nella città emiliana, invaghendosi (così si dice) della contessa. Appurata la notizia della di lei malattia e saputo dell’idea del Conte Fantoni, mise a disposizione di questi tutto il suo genio pratico, di cui il primo era sprovvisto, arrivando al perfezionamento della nobile invenzione. Correva l’anno 1802.

Sempre a Turri si deve l’invenzione della carta carbone grazie alla quale i caratteri digitati sulla tastiera della macchina che aveva contribuito a costruire potevano imprimersi sulla carta. Questa volta i tasti non simulavano quelli di un pianoforte ma avevano l’aspetto delle moderne tastiere  per macchina da scrivere.

Se l’invenzione di una tastiera per scrivere è tutta italiana si deve però al pragmatismo yankee il suo uso industriale e commerciale. Fu infatti Christopher Latham Sholes, editore di Milwaukee, che il 23 giugno del 1868 depositò, insieme al tipografo Samuel W. Soule e all’avvocato Carlos Glidden, un brevetto di una macchina per scrivere, del tutto simile a quelle utilizzate oggi. All’inizio del 1873 i tre vendettero il progetto a Remington che cominciò a produrre in larga scala la macchina di Sholes. 

La storia non è però finita qui. La macchina prodotta da Remington si portava dietro un fastidioso difetto. I martelletti che venivano azionati dai tasti tendevano a incepparsi piuttosto spesso. Fu così che Sholes, escogitò la disposizione dei tasti che tutti oggi conosciamo cosiddetta “QWERTY”, dalle prime sei lettere in alto a sinistra.

In più la tastiera venne divisa in due parti per consentire un utilizzo dello strumento a due mani.

Con il tempo e una maggiore pratica la suddivisione rimase solo ideale ma la disposizione dei tasti QWERTY rimase lo standard utilizzato ancora oggi dalle tastiere dei computer e persino da quelle virtuali degli smartphone.

Con il passare dei decenni, l’atto di scrivere usando una tastiera è entrato a far parte di quelle abilità che ogni membro della società industrializzata possiede, come mangiare usando un cucchiaio o procurarsi l’acqua ruotando la manopola un rubinetto. C’è persino chi con il tempo ha disimparato a scrivere con la penna, con buona pace dell’ossessione calligrafica delle maestrine di un tempo. 

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