I primi vent’anni del mondo con il libro delle facce

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gennaio 7, 2024 di meditazionimetafisiche

Da una banale goliardata di Zuckerberg è nato uno strumento che oggi coinvolge 3 miliardi e mezzo di persone

di Antonio Cavallaro

Questo articolo è apparso su «Mimì», l’inserto culturale del «Quotidiano del Sud / L’altra voce dell’Italia» del 7 gennaio 2023

Il mondo prima e dopo Facebook. Come l’invenzione della scrittura o quella del telegrafo, anche l’ideazione di Facebook segna uno spartiacque nella storia non solo dei media ma anche della cultura e dei costumi. Una rivoluzione,  che a inizio 2024 compie venti anni.   Quattro lustri  in cui – anche se forse si fatica  ancora ad accorgersene – è cambiato il modo di relazionarsi con gli altri, di acquisire notizie e informazioni, di seguire mode e tendenze e di fare compere, ma anche e soprattutto di partecipare alla vita democratica e civile del nostro Paese.

Di certo, Mark Zuckerberg, l’enfant prodige inventore di questo nuovo medium, non intendeva dare vita a uno strumento di tale portata. Da matricola di Harvard, come tutti i ragazzi della sua età, pensava solo a sfruttare la sua conoscenza dell’informatica per mettere a frutto l’immensa libertà che il vivere fuori casa gli aveva regalato e conoscere così nuove ragazze. Come molti inventori che hanno cambiato il mondo, anche Zuckerberg non si era reso immediatamente conto delle potenzialità che lo strumento che aveva creato possedeva, ma è stato allo stesso tempo abile nel seguirne gli sviluppi e, soprattutto, di evitare che qualcuno più smaliziato gli sottraesse il giocattolino con la promessa di un lecca lecca.

Al pari di altri grandi anniversari, potremmo discutere a lungo della data esatta del compleanno di Facebook. Come sempre accade, si finisce  per sceglierne una che in qualche modo pare essere quella più rappresentativa.  Secondo i più la torta va tirata fuori dal frigo l’11 gennaio. Fu infatti l’11 gennaio 2004 che il giovane Mark registrò il dominio “thefacebook.com”. Il sito andò, invece, online il 4 febbraio.

Un medium – e Facebook può essere pienamente ascritto a questa categoria – non nasce mai dal nulla. Ci sono sempre prove, tentativi, a volte nemmeno andati a buon fine, che lo precedono. In rete, prima di Facebook, c’erano siti dove si potevano scambiare idee e opinioni su determinati argomenti, come i Bulletin board systems, sorta di bacheche telematiche grazie alle quali scambiarsi messaggi e file, nate addirittura negli anni Settanta; applicazioni di condivisione di foto e video come Picasa, nata nel 2002 o piattaforme per cercare nuovi amici, o come Friendster nata anch’essa nel 2002. Ci si potrebbe chiedere dunque perché alla fine a prevalere sia stato proprio Facebook e non uno dei suoi predecessori. La risposta non può essere univoca. Da un lato, come scrive Patrice Flichy nella sua fondamentale “Storia della comunicazione moderna”, perché un medium si affermi è necessario che vi sia una spinta sociale alla base che lo sostiene, c’è bisogno insomma che un gruppo consistente di persone lo trovi utile se non necessario. Non basta insomma la disponibilità tecnologica. Dall’altro si deve dire che Facebook è riuscito a porsi come una struttura sulla quale innestare tutti i processi e funzioni assicurate dalle piattaforme precedenti. «Facebook ha semplicemente reso disponibile una struttura vuota», ha scritto lo studioso danese Niels Brügger in un  saggio pubblicato su “First Monday”, una struttura sulla quale gli utenti possono fare tutta una serie di cose e interagire nei modi più differenti senza però modificare la struttura stessa. Un po’ com’è avvenuto con il Web che si è “limitato” a costruire una sovrastruttura, funzionante grazie a internet, che mette insieme ipertesti e un protocollo per scambiare i file.

E dire che, come ha raccontato lo stesso Zuckerberg al Congresso americano, tutto è nato da un “prank”, una goliardata, diremmo noi, commessa l’anno prima, nel 2003.

Una sera, nella sua cameretta del college più prestigioso del mondo, decide di scaricare dai siti dei vari club studenteschi le foto delle ragazze disponibili. Ogni club aveva infatti un “Face book”, un libro delle facce non accessibile dall’esterno, con le foto di tutti gli iscritti. Il sistema di Zuckerberg metteva a confronto le foto delle sole studentesse consentendo agli utenti di dire quali fossero attraenti e quali no. Il sistema si chiamava “Facemash”. Com’è facile immaginare, l’idea di Zuckerberg aveva violato tutte le più elementari norme di sicurezza e di riservatezza del college e, per tale ragione, ebbe vita breve: due giorni soltanto prima di essere chiuso, durante i quali aveva però raccolto già 450 iscritti che avevano votato 22 mila volte.

Forte di questo successo Mark registra, dopo qualche mese, l’11 gennaio 2004, il dominio “thefacebook.com”.

Ma Zuckerberg non è solo nell’impresa. La società nata, con sede a Menlo Park, in California, nella San Francisco Bay, vede altri quattro studenti tra i soci fondatori. Il gruppo ha un’età compresa tra i 17 e i 21 anni. Insieme a Zuckerberg ci sono i suoi due compagni di stanza, Dustin Moskovitz e Chris Hughes, il brasiliano Eduardo Saverin ed Andrew McCollum, all’epoca il più anziano del gruppo che però lascerà il progetto dopo qualche tempo. Dustin, grazie alle azioni di Facebook, passerà alla storia come il più giovane miliardario del mondo mentre Saverin, che per ragioni fiscali ha poi trasferito la sua residenza a Singapore, deterrà il record, secondo Forbes, di uomo più ricco dell’isola malesiana.

Thefacebook.com fu messo online il 4 febbraio del 2004 (diverrà poi semplicemente “Facebook” ad agosto del 2005). All’inizio era una comunità per i soli studenti di Harvard che potevano condividere informazioni personali sui loro interessi, il club che frequentavano e l’orario delle lezioni. Una sorta di versione avanzata e digitale dell’annuario che circolava da sempre nel sistema universitario statunitense. Il successo fu però immediato, tanto che nei mesi successivi venne allargato anche alle comunità studentesche di Yale e Stanford. A giugno c’erano già 250 mila iscritti provenienti da più di 34 scuole. A settembre venne aggiunto il “muro”, una sorta di bacheca aperta (l’attuale feed del profilo) sulla quale si potevano condividere aggiornamenti su quello che si stava pensando o facendo, e postare foto o altre informazioni. A fine 2004 Facebook contava un milione di utenti attivi.

Il 2005 fu l’anno della svolta. Venne implementata la funzione che consente di taggare le persone nelle foto, aumentando così a dismisura il livello di coinvolgimento e il sistema venne aperto anche a studenti provenienti da scuole e università di altri Paesi.

Nel 2006 cadde l’altro limite e tutti, non solo studenti, purché maggiori di 13 anni poterono finalmente iscriversi a Facebook. Il sistema cominciò ad attirare l’attenzione di investitori e inserzionisti. Le aziende potevano finalmente interagire direttamente con il proprio pubblico e proporre prodotti e servizi non in maniera indistinta ma a gruppi di utenti profilati, massimizzando così l’investimento pubblicitario.

Ben presto anche la politica finì per accorgersi di Facebook.

Tuttavia la grande novità venne introdotta il 9 febbraio del 2009. Una funzione semplice quanto rivoluzionaria, destinata a incidere profondamente nella psicologia e nelle abitudini delle persone: il like, un pollice retto azzurro con il quale esprimere la propria approvazione verso un contenuto. Mettere un “mi piace” a una foto o a un post fa sì che chi l’ha postata possa contare su un sondaggio in tempo reale di quanto il suo stile di vita, la sua simpatia, le sue abilità culinarie, le sue letture e tutto il resto siano attrattive e riscuotano l’interesse degli altri (magari anche l’invidia o la gelosia). Ricevere un like è una piccola dose di dopamina che nutre la propria autostima e dimostra agli altri il proprio valore.

A suon di like sono state costruite carriere politiche, artistiche e professionali. Il like è diventato la materializzazione, la possibilità di misurazione precisa di quei concetti come “capitale sociale” o “leader d’opinione” che fino a quel momento apparivano astratti e inafferrabili. Grazie ai like e alla capacità di conquistare like sono nate persino professioni che fino a quel momento non esistevano come quella degli influencer o dei social media manager.

Nel frattempo anche Mark Zuckerberg non è più un ragazzino, ma un attempato giovanotto che con la sua comunità di 3,5 miliardi di utenti, poco meno della popolazione mondiale, è tra gli uomini più influenti del pianeta. La goliardia ha spesso effetti inaspettati. (Continua dopo l’immagine)

Notizie importanti date via Facebook

La possibilità che Facebook ha offerto di rivolgersi direttamente ai propri follower ha completamente cambiato anche la strategia comunicativa di politici, vip o persone in cerca di visibilità che hanno scelto la piattaforma di Zuckerberg (e più tardi Instagram e Twitter) come mezzo di comunicazione, quasi a sostituirsi nella funzione di intermediazione di giornali e TV e talvolta accaparrandosi addirittura l’esclusiva della notizia. L’apice di questa nuova strategia comunicativa è stato probabilmente raggiunto proprio in Italia, durante i giorni bui del lockdown, quando il Presidente del Consiglio, che forte della sua carica istituzionale avrebbe potuto avere a propria disposizione i potenti mezzi della TV di stato, ha scelto invece la pagina Facebook della Presidenza del Consiglio per annunciare ai cittadini le novità introdotte dai vari DPCM che si susseguivano. 

Proverbiali sono diventate in quei giorni le dirette del Presidente della Regione Campania De Luca che, proprio grazie a Facebook ha raggiunto un’audience che i mezzi tradizionali non gli avrebbero consentito.

E che dire, per passare ai giorni nostri, degli “Appunti di Giorgia”, una vera e propria “serie”, ideata dallo staff della Presidente del Consiglio Meloni per comunicare “senza filtri” con cittadini ed elettori?

Il primo politico a intuire le potenzialità di questo social è stato però Barack Obama, l’annuncio della cui elezione venne data proprio sulla sua pagina che contava all’epoca 25 milioni di utenti. Facebook aveva giocato un ruolo chiave nella comunicazione per le presidenziali. Basti pensare che uno dei responsabili era stato lo stesso Chris Hughes, cofondatore della piattaforma che aveva lasciato la società per seguire il senatore Obama. 

Non è stato da meno il suo acerrimo nemico Donald Trump che su Facebook conta circa 34 milioni di Follower. Da qui, il 17 marzo 2023, ha annunciato la sua nuova discesa in campo con un video della precedente campagna elettorale e il commento “I’m back”, sono tornato.

Non solo politica però. C’è chi sceglie Facebook per annunciare il proprio matrimonio. Tra i tanti, c’è sicuramente da ricordare lo stesso Zuckerberg che ha deciso di annunciare, a maggio 2011, le proprie nozze cambiando semplicemente lo status sul proprio profilo da “libero” a “sposato”. 

Lo stesso social è stato utilizzato dalla supermodella australiana Shanina Shaik che, nel 2018, ha annunciato di essere convolata a nozze con il fidanzato DJ Ruckus.

Tornando da questa parte dell’oceano, post di fiori d’arancio sono sbocciati per Vasco Rossi che, nel 2012, ha comunicato ai suoi fan di voler regolarizzare la propria unione con la storica fidanzata Laura Schmidt e, due anni più tardi, per Eros Ramazzotti che ha comunicato ai suoi fan e follower che avrebbe sposato Marika Pellegrinelli.

C’è poi che, come la cantante Elisa, ha addirittura creato un hashtag (#sìElisa) per consentire ai propri follower di seguire non solo il matrimonio ma anche le fasi preparatorie, dall’addio al nubilato in poi. 

Facebook non è semplicemente un mondo virtuale, non una realtà altra, ma una forma espansa della realtà che viviamo. Non sorprende dunque che sia il luogo dove si condividono sia notizie belle che brutte. Talvolta gli autori di delitti efferati o femminicidi non lasciano più lettere scritte o telefonate anonime a giornali o telegiornali, ma annunciano su Facebook le loro intenzioni. Fece scalpore, nel 2011, il caso dell’estremista di destra norvegese Anders Behring Breivik che il 22 luglio fece esplodere un’autobomba nei pressi della sede del governo a Oslo, dopo aver annunciato il suo folle gesto proprio sul suo profilo Facebook. O, ancora, quello di Salvador Ramos, l’autore della strage di Uvalde, in Texas, passata alla storia per essere stata la sparatoria più sanguinosa dopo quella di Sandy Hook del 2012. Il Killer aveva scritto 30 minuti prima di raggiungere la scuola “sto per sparare a mia nonna”, poi “ho sparato a mia nonna”, quindi 15 minuti prima del massacro “sto per sparare in una scuola elementare”.

Anche in questa tragica circostanza Facebook è diventata fonte di notizie per giornali e agenzie. Nella buona e nella cattiva sorte.

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